Quando sentii parlare per la prima volta di Backstage di Spotify ovviamente mi vennero in mente solamente immagini di pass, camerini, rock and roll e qualche groupie. 

Poi scoprii che si trattava di tutt’altra cosa e ci sono rimasta malissimo. 

Correva l’anno 2020, ma ora si torna a parlare di Backstage di Spotify. 

Ok, ma cos’è?

E’ più facile spiegare cosa fa, piuttosto che citarne l’esatta definizione, ma qui vogliamo parlare facile e quindi la migliore spiegazione è:

Backstage mette ordine. 

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Si tratta di una piattaforma open source, quindi accessibile, modificabile e fruibile, per costruire portali per gli sviluppatori. 

Ma perchè mette ordine? Perchè quando pensiamo al lavoro di un developer pensiamo ai codici… ma in realtà non è solo quello perchè dobbiamo pensare anche a tutta la struttura di tooling, dei servizi IT e della documentazione che riguarda l’azienda di cui è (o dovrebbe) essere responsabile. 

Ed ecco che entra in gioco Backstage: immaginate vi siano 200 ingegneri impegnati in altrettante 200 tasks, in altrettanti 200 campi diversi. Ed ora immaginate il chaos; la piattaforma si prende cura del management degli infiniti tools e software per permettere alla forza umana di concentrarsi meglio sul valore del business. 

Lo fa grazie ad un catalogo di software (per microservizi, pipeline, siti web, machine learning); lo fa con appositi Templates e con la creazione di una documentazione tecnica per facilitare la ricerca e la diffusione della cultura aziendale.

Non sarebbe completo se non offrisse plugin. Ed infatti vi è anche quello: quindi abbiamo anche la possibilità di installare e personalizzare sui nostri portali la meravigliosa organizzazione di Backstage. 

Partito leggermente in sordina, Backstage si appresta ad essere il framework di riferimento per le piattaforme self-service nel 2024 grazie agli importanti “clienti” dell’ultimo anno (Mercedes Benz, American Airlines, tanto per fare due nomi) che si aggiungono a quelli già grandi di Netflix, DAZN, HBO, Zalando e molti altri. 

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