Eravamo rimasti alle consegne a domicilio via drone.
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Ma in America avranno pensato di utilizzarli in una maniera ancora più efficace: annullarti l’assicurazione sulla casa.La notizia è stata riportata dal Wall Street Journal e raccoglie la testimonianza di una cittadina californiana che si è vista annullare l’assicurazione perché un drone ha fotografato il tetto di casa sua e non lo ha considerato a norma.
E pare che non sia una prerogativa di una sola compagnia di assicurazioni, ma un po’ tutte.
Inizialmente la notizia potrebbe far sorridere, ma in realtà ci troviamo dinanzi ad un breach molto grave per quanto riguarda la privacy.
Dalla segnalazione al WSJ ne è nata un’indagine condotta dalla United policyholders, una no profit che opera sul territorio americano. Nel report si legge che alcune compagnie che si occupano di assicurazioni sulla casa utilizzano la sorveglianza dei droni per decidere se concedere l’assicurazione o no.
E ci si concentra principalmente sui tetti, ma non solo. Basta una tegola fuori posto o anche un ramo dell’albero in giardino troppo sporgente o ancora una piscina non dichiarata per far fare dietro front.
Di base c’è il fatto che il 99% delle case degli Stati Uniti è stato fotografato e catalogato. Le compagnie utilizzano quindi i droni per compiere autonomi sopralluoghi e letteralmente spiare, senza alcun consenso, gli esterni delle abitazioni.
Come si giustificano le compagnie?
Le compagnie assicurative però ci tengono a precisare che questa postilla dello spionaggio sia ben evidente nei punti accettati della polizza che viene firmata. Ma se così fosse, non ci sarebbe stato un boom di denunce alla stampa e alle associazioni di categoria per invasione della privacy.
Secondo le testimonianze, inoltre, quando la compagnia annuncia che non pagherà più per la casa in caso di problemi, i proprietari ricevono solo una notifica: la polizza viene annullata perché dai riscontri fotografici si evince che la casa non è a norma.
Peccato però che queste foto non vengono mai mostrate ai proprietari.
Ora, immaginate se anche in Italia le compagnie assicurative utilizzassero lo stesso metodo. O se fossero i datori di lavoro a farlo per contestare la concessione del periodo di malattia.
A voi l’immaginazione…